Newletter Corpo sociale | Fondazione GianGiacomo Feltrinelli weekend – La nostra città futura n.58. Troppo interessante per i link e copiata qua a futura mia memoria personale.
È possibile che la “mappa” del contagio da coronavirus dipenda anche dalle strutture sociali dei Paesi? Alcuni scienziati hanno avanzato questa ipotesi. In Germania, ad esempio, i numeri di contagiati di coronavirus aumentano di giorno in giorno. Eppure i dati forniti quotidianamente sono molto diversi sia da quelli italiani, sia da quelli del resto del mondo. Se il tasso di crescita dei contagi tedeschi è esponenziale, il numero dei morti assoluti resta basso, lo 0,3%. In Italia per Covid19 muoiono 8,5 persone ogni 100 infettate, in Spagna il 5,4%. Come si spiega questa differenza? Gli esperti del Koch Institute di Berlino segnalano che in Germania per ora si sono ammalati soprattutto i più giovani, diversamente da quello che è accaduto in Italia e Spagna (El Paìs). Eppure la Germania ha una percentuale di anziani molto simile a quella italiana. Bruce Aylward, vicedirettore generale Oms, in una intervista al New York Times ha ipotizzato che le differenze potrebbero dipendere appunto dalle diverse strutture sociali. In Cina quasi l’80 per cento delle infezioni si è sviluppato in famiglia. E le famiglie numerose caratterizzano anche l’organizzazione sociale dei Paesi mediterranei. Se in Italia e Cina le persone tra i 30 e i 49 anni che vivono ancora con i genitori sono più del 20%, in Germania la percentuale si dimezza. È possibile dunque che in Italia e Cina i giovani abbiano poi contagiato genitori o nonni che vivono con loro (L’Espresso). L’ipotesi viene anche avanzata in uno studio realizzato dall’Università di Oxford e citato da Wired: gli italiani passano più tempo con i nonni rispetto ai coetanei di altri Paesi e questo avrebbe favorito la diffusione tra gli anziani.
I nervi scoperti – La cautela su queste spiegazioni è d’obbligo, come raccomandano anche gli scienziati dell’istituto Koch. Ma l’epidemia sta comunque mettendo in luce vizi e virtù del nostro tessuto sociale. Se da una parte in questi giorni sono emerse forme di solidarietà che hanno fatto leva su quell’arte dell’arrangiarsi tutta italiana, con iniziative di associazioni e singoli cittadini (Repubblica), dall’altra sono risultate più evidenti le falle di un welfare che si appoggia su un impianto familistico, lasciando enormi lacune nella protezione sociale di grandi gruppi di popolazione (Dinamopress). La pandemia ha fatto emergere anche le forti differenze di genere che caratterizzano la nostra società: operatrici sanitarie e del settore domestico in questi giorni stanno pagando il prezzo più alto dell’emergenza sanitaria (InGenere). Davanti a un sistema di ammortizzatori legati alle tipologie contrattuali, il governo è corso ai ripari con il decreto “Cura Italia” allargando la cassa integrazione e fornendo nuove forme di indennità per le partite Iva e i meno garantiti (Secondo Welfare). Ma qualcuno, come ha spiegato lo stesso presidente dell’Inps Pasquale Tridico, resterà fuori (Yahoo). Tant’è che da più parti – da destra e sinistra, dai freelance ai rider – sta emergendo un coro di voci che chiede una estensione del reddito di cittadinanza, una sorta di “reddito di quarantena” universale per non lasciare scoperto nessuno (Linkiesta). Una protezione che, come chiedono dal Forum Disuguaglianze e Diversità, vada oltre le circostanze e la base di partenza. È quello che ha detto anche il ministro per il Sud Peppe Provenzano in un’intervista al Corriere: “Se la crisi si prolunga dobbiamo prendere misure universalistiche per raggiungere anche le fasce sociali più vulnerabili: le famiglie numerose, oltre a chi lavorava in nero”.

Soli, insieme
E in un momento in cui le misure di contenimento del virus costringono tutti a casa, si danno a vedere anche i punti deboli delle nostre stesse comunità, sempre più frammentate. Se è vero che il virus è democratico perché colpisce tutti, la quarantena non è uguale per tutti, fa notare Il Foglio. Per chi sta da solo, in 30 metri quadri, in un quartiere dormitorio la reclusione può essere più dolorosa e angosciante (L’Espresso). Il poter contare su reti sociali – familiari, parentali, amicali, di vicinato – sembra oggi più importante che mai, eppure non sono un bene da dare per scontato. Non solo: rimanere a casa per alcuni può significare restare chiusi in situazioni conflittuali e pericolose, soprattutto per le donne (Il Sole 24 Ore). L’assenza dei legami sociali forti, a maggior ragione in questo momento, impone allora una rinnovata attenzione a come sono strutturati i nostri sistemi di welfare, scrive Simone Cremaschi. Quello che serve – e oggi appare più evidente che mai – è investire in una comunità in cui un welfare rinnovato metta a disposizione risorse e crei canali di comunicazione per chi chiede e chi offre cura. Non a caso, le persone iniziano in questi giorni a mettere in campo comportamenti che sono contemporaneamente volti alla tutela di se stessi, delle proprie reti di prossimità e della collettività tutta (Dinamopress). Nuove forme di cura capaci di ricomporre affetti e di offrire sostegno reciproco utile alla coesione della comunità, come quelle che vengono raccontate anche nell’ebook “E se domani. Famiglie”.SCARICA L’eBOOK

Affacci sul mondo
Ma cosa accade fuori dalle nostre finestre, oltre le nostre porte, mentre siamo in isolamento in casa? Com’è la quarantena al di fuori dei contesti urbani, più o meno confortevoli, che conosciamo? Paola Piscitelli racconta le vite degli altri con cui si tiene in contatto in questi giorni. Come quella di R., immigrato irregolare a Johannesburg, la cui “sopravvivenza” è garantita solo dal fatto di uscire dall’isolamento, dall’andare ogni giorno in giro per la città alla ricerca di lavoretti di ogni tipo. Simone Cremaschi ci apre invece uno squarcio sui ghetti dei braccianti del foggiano: il fatto che si viva in molte persone nella stessa baracca di pochi metri impedisce di mantenere le distanze di sicurezza, e in questo contesto l’ipotesi di isolamento di chi mostra sintomi è praticamente inconcepibile. E lo stesso pericolo si corre nei centri di accoglienza per migranti, tra sovraffollamento e carenze igieniche che potrebbero essere una bomba a orologeria per il contagio (Vita). In questi giorni, scrive Lilia Giugni da Londra, vengono fuori polveriere sociali che finora erano rimaste nascoste: dai senza tetto che non possono restare a casa perché una casa non ce l’hanno ai rider costretti a fare consegne per vivere, dalle condizioni delle carceri alle donne vittime di violenze domestiche. È da qui, che una volta che sarà tutto finito, dovremo ripartire: dai diritti da garantire a tutti, con una nuova cura e attenzione per lo stato della cosa pubblica.LEGGI L’ARTICOLO
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