Da Dinamo Press – Emanuele Braga il 18/4/2020
Ci piacciono i profili, ci piacciono le curve, e le sappiamo anche leggere, ci piacciono i software, ci piacciono i sensori, e li sappiamo anche codare. Ci piace mettere la sveglia e fare pensare ad una macchina delle cose al posto nostro. Siamo quella generazione cresciuta con algoritmi e schermi, al posto delle bambole e delle macchinine…. Abbiamo giocato, amato, usato al contrario, buttato contro il muro intelligenze artificiali, cose di plastica, schermi touch e metal detector.
Non siamo contro i computer e i dati, ma ci ribelliamo al sogno fin troppo umano e porno-patriarcale di ridurre tutto ad un joystick in mano a gente sempre più impotente.
Ed ora che abbiamo capito cosa significa essere impotenti, apriamo la porta e sentiamo la brezza della paura di morire. Noi che non vogliamo morire e non vogliamo uccidere i nostri cari.
A noi quello che importa ora è un cambiamento radicale. Un gesto di immaginazione radicale.
Il problema fondamentale cui dobbiamo rispondere ora senza perdere tempo alcuno è rispondere alla domanda che cosa è utile? che cosa serve davvero ora?
Se stiamo dentro la psicosi dell’emergenza non faremo altro che aumentare l’ansia e sbaglieremo sempre di più. Quello che sta succedendo è reale, non è un’invenzione. La gente sta davvero morendo di un virus che ha fatto il salto di specie e che abbiamo difficoltà a controllare.
Il tema della costruzione del sé è legato ad accettare che l’altro non è qualcosa da controllare con isteria, ma da comprendere. Quando Donna Haraway dice che solo alcuni concetti possono pensarne altri, mi suggerisce il fatto che tutto è in una “relazione specifica”. Il nostro compito, ora più che mai, è stare in questa comprensione o respons-ability… Se lasciamo correre la macchina nella direzione in cui ha accelerato fino ad ora andremo sempre di più, nella tragedia, a sbattere contro un muro.
Immagine e comunque da visitare e leggere Institute of Radical Immagination
Coronavirus, Yunus: “Non torniamo al mondo di prima”

All’improvviso il coronavirus ha cambiato radicalmente il contesto delle cose e i dati spiccioli. Ha spalancato davanti ai nostri occhi possibilità temerarie che non erano mai state prese in considerazione in precedenza. All’improvviso, eccoci di fronte a una tabula rasa. Possiamo andare in qualsiasi direzione vorremo. Che incredibile libertà di scelta!
Prima di farla ripartire, dobbiamo decidere che tipo di economia vogliamo. Prima e più di ogni altra cosa, l’economia è uno strumento che ci può aiutare a perseguire gli obbiettivi che noi stessi ci prefiggiamo. Non deve farci sentire tormentati e impotenti. Non dovrebbe fungere da trappola letale messa a punto da qualche potenza divina per infliggerci una pena. Non dobbiamo dimenticare mai, neppure per un istante, che l’economia è uno strumento creato da noi uomini. Dobbiamo dunque continuare a progettarlo e riconfigurarlo finché non renderà tutti felici. È uno strumento messo a punto per arrivare alla massima felicità collettiva possibile.
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