Chi è il soggetto che conosce e detiene l’informazione? Cos’è l’informazione che ha? Che cosa è il soggetto che osserva? Sfugge alle leggi della natura, oppure è anch’esso descritto dalle leggi naturali? E’ fuori dalla natura o è una parte del mondo naturale? Se è parte della natura, perché trattarlo in maniera speciale?
Questa domanda, ennesima riformulazione del domanda sollevata da Heisenberg – che cosa caratterizza un ‘osservazione? Che cos’è un osservatore? -, ci porta, finalmente, alle relazioni.
[84] Il cuore dell’interpretazione relazionale della teoria dei quanti. che qui illustro, è l’idea che la teoria non descriva il modo in cui gli oggetti quantistici si manifestano a noi (o a speciali entità che «osservano»). Descrive come qualunque oggetto fisico si manifesti a qualunque altro oggetto fisico. Come qualunque oggetto fisico agisca su qualunque altro oggetto fisico.
Pensiamo il mondo in termini di oggetti, cose, entità (nel gergo scientifico li chiamiamo « sistemi fisici »): un fotone, un gatto, un sasso, un orologio, un albero, un ragazzo, un paese, un arcobaleno, un pianeta, un ammasso di galassie… Questi oggetti non stanno ciascuno in sdegnosa solitudine. Al contrario, non fanno che agire uno sull’altro. È a queste interazioni che dobbiamo guardare per comprendere la natura, non agli oggetti isolati. Un gatto ascolta il ticchettio dell’orologio; un ragazzo lancia un sasso; il sasso sposta l’aria dove vola, colpisce un altro sasso e lo muove, preme sul terreno dove si posa; un albero assorbe energia dai raggi del sole, produce l’ossigeno che respirano gli abitanti del paese mentre osservano le stelle e le stelle corrono nella galassia trascinate dalla gravità di altre stelle… Il mondo che osserviamo è un continuo interagire. È una fitta rete di interazioni.
Gli oggetti sono caratterizzati dal modo in cui interagiscono. Se ci fosse un oggetto che non ha interazioni, non influenza nulla, non agisce su nulla, non emette luce, non attira, non respinge, non si fa toccare, non profuma… sarebbe come non ci fosse. Parlare di oggetti che non interagiscono mai è parlare di cose che – se anche esistessero – non ci riguardano. Non si capisce neppure bene cosa significherebbe dire che simili cose «esistono». Il mondo che conosciamo, che ci riguarda, ci interessa, ciò che chiamiamo «realtà», è la vasta rete di entità in interazione, che si manifestano l’una all’altra interagendo, e della quale facciamo parte. È di questa rete che ci stiamo occupando.
[87] Così rivista, l’osservazione di Bohr cattura la scoperta alla base della teoria: l’impossibilità di separare le proprietà di un oggetto dalle interazioni dove queste proprietà si manifestano, e dagli oggetti a cui si manifestano. Le caratteristiche di un oggetto sono il modo in cui esso agisce su altri oggetti. L’oggetto stesso non è che un insieme di interazioni su altri oggetti. La realtà è questa rete di interazioni, al di fuori della quale non si capisce neppure di cosa staremmo parlando. Invece di vedere il mondo fisico come un insieme di oggetti con proprietà definite, la teoria dei quanti ci invita a vedere il mondo fisico come una rete di relazioni di cui gli oggetti sono i nodi.
[88] La proprietà sono solo relative
La seconda conseguenza è ancora più radicale.
Supponi, caro lettore, di essere il gatto dell’apologo di Schródinger del capitolo precedente. Sei chiuso in una scatola e un meccanismo quantistico (un atomo radioattivo per esempio) ha probabilità ½ di innescare l’emissione di un sonnifero. Tu percepisci il sonnifero emesso, o no. Nel primo caso ti addormenti, nel secondo resti sveglio. Per te, il sonnifero è stato rilasciato, oppure no. Non ci sono dubbi. Per te, tu sei sveglio, o sei addormentato. Non certo entrambe le cose.
Io invece sono fuori dalla scatola e non interagisco né con la boccetta di sonnifero né con te. Più tardi posso osservare fenomeni di interferenza fra te-sveglio e te-addormentato: fenomeni che non si sarebbero prodotti se ti avessi visto addormentato, o se ti avessi visto sveglio. In questo senso, per me, non sei né sveglio né addormentato. Dico che sei « in una sovrapposizione di sveglio e addormentato».
Per te, il sonnifero si è liberato o no, e tu sei o sveglio o addormentato. Per me, tu non sei né sveglio né addormentato. Per me, «c’è una sovrapposizione quantistica fra stati diversi». Per te, c’è la realtà di essere sveglio, oppure di non esserlo. La prospettiva relazionale permette che siano vere entrambe le cose, perché ciascuna riguarda interazioni rispetto a due osservatori diversi: te e me.
Possibile che qualcosa sia reale rispetto a te e non sia reale rispetto a me?
La teoria dei quanti, io credo, è la scoperta che la risposta a questa domanda è sì.
[91] Le variabili fisiche non descrivono le cose: descrivono il modo in cui le cose si manifestano le une alle altre. Non ha senso attribuire loro un valore, se non nel corso di un’interazione. Una variabile prende valore (la particella ha una posizione, oppure una velocità) relativamente a qualcosa, nel corso di una interazione con questo qualcosa.
[95] Il mondo si frantuma in un gioco di punti di vista, che non ammette un ‘unica visione globale. E’ un mondo di prospettive, di manifestazioni, non di entità con proprietà definite o fatti univoci. Le proprietà non vivono sugli oggetti, sono ponti fra oggetti. Gli oggetti sono tali solo in un contesto, cioè solo rispetto ad altri oggetti, sono nodi dove si allacciano ponti. Il mondo è un gioco prospettico, come di specchi che esistono solo nel riflesso di uno nell’altro.
La grana fine delle cose è questo strano lieve mondo, dove le variabili sono relative, il futuro non è determinato dal presente. Questo fantasmatico mondo di quanti è il nostro mondo.

[99] Un Entanglement è la situazione che si trovano due cose o due persone che in qualche forma sono rimaste aggrovigliate fra loro, in senso letterale o figurato. Annodamento, intricamento, coinvolgimento, intreccio, imbroglio, relazione sentimentale…
Nella fisica dei quanti si chiama Entanglement per cui due oggetti distanti tra loro, per esempio due particelle che si sono incontrate nel passato, conservano una sorta di strano legame, come potessero continuare a parlarsi. Come due innamorati lontani che indovinano i pensieri l’uno dell’altro. Restano, si dice, entangled, allacciati. È un fenomeno ben verificato in laboratorio. Recentemente scienziati cinesi sono riuscita mantenere in uno stato entangled due fotoni a distanza di migliaia di chilometri l’uno dall’altro.
Vediamo di che si tratta.
Innanzitutto due fotoni entangled hanno caratteristiche correlate: cioè se uno è rosso, anche l’altro è rosso; se uno è blu, anche l’altro è blu. Fin qui nulla di strano. Se separo un paio di guanti e ne invio uno a Vienna e uno a Pechino, quello che arriva a Vienna sarà dello stesso colore di quello che arriva a Pechino: sono correlati.
La stranezza nasce se la coppia di fotoni spediti uno a Vienna e l’altro a Pechino è in una sovrapposizione quantistica. Per esempio possono essere in una sovrapposizione di una configurazione in cui sono entrambi rossi, e una in cui sono entrambi blu. Ciascun fotone può rivelarsi tanto rosso che blu al momento dell’osservazione, ma se uno si rivelerà rosso, anche l’altro – lontano – farà lo stesso. L’aspetto della faccenda che lascia perplessi è questo: se entrambi possono mostrarsi sia rossi che blu, come accade che si mostrano sempre dello stesso colore? La teoria ci dice che fino al momento in cui non lo guardiamo, ciascuno dei due fotoni non è né definitivamente rosso, né definitivamente blu. Il colore si determina in maniera casuale solo nel momento in cui guardiamo.
Ma se è così, com’è possibile che il colore che si determina in maniera casuale a Vienna possa risultare eguale al colore che si determina in maniera casuale a Pechino? Se faccio testa o croce sia a Pechino che a Vienna, i due risultati sono indipendenti, non sono correlati: non viene testa a Vienna ogni volta che viene testa a Pechino….
[103] Insomma, anche se sappiamo tutto quello che c’è da sapere in una situazione particolare su un oggetto singolo, se questo oggetto ha interagito con altri non sappiamo tutto di lui: ignoriamo le sue correlazioni con gli altri oggetti dell’universo. La relazione fra due oggetti non è qualcosa che sia contenuta nell’uno e nell’altro: è di più.
Questa interconnessione fra tutti i componenti dell’universo è sconcertante.
Torniamo al puzzle: come fanno due particelle entangled a comportarsi allo stesso modo, senza essersi messe d’accordo prima e senza mandarsi messaggi da lontano?
La soluzione del puzzle nell’ambito della prospettiva relazionale c’è, ma mostra quanto questa prospettiva sia radicale.
La soluzione è ricordare che le proprietà esistono rispetto a qualcosa. La misura del colore del fotone eseguita a Pechino determina il colore rispetto a Pechino. Ma non rispetto a Vienna. La misura del colore a Vienna determina il colore rispetto a Vienna. Ma non rispetto a Pechino. Non c’è nessun oggetto fisico che vede entrambi i colori nel momento in cui sono fatte le due misure. Quindi non ha senso chiedersi se i risultati siano eguali o meno. Non significa nulla, perché non corrisponde a qualcosa che possa essere accertato.
Solo Dio può vedere in due luoghi nello stesso momento, ma Dio, se c’è, non ci dice cosa vede. Cosa veda Lei è irrilevante per la realtà. Non possiamo assumere che esista ciò che vede solo Dio. Non possiamo assumere che esistano entrambi colori, perché non c’è nulla rispetto a cui sono determinati entrambi. Ci sono solo le proprietà che esistono rispetto a qualcosa: l’insieme dei due colori non esiste rispetto a nulla.
Ovviamente, possiamo confrontare le due misure, a Pechino e a Vienna, ma il confronto richiede che ci sia uno scambio di segnali: i due laboratori possono mandarsi una mail, chiamarsi al telefono. Ma una mail ha bisogno di tempo, e così la voce al telefono – nulla viaggia istantaneamente. Quando il risultato della misura di Pechino arriva a Vienna, per mail o lungo le linee telefoniche, solo allora diventa reale anche rispetto a Vienna.
Ma a questo punto non c’è più un misterioso segnale a distanza: rispetto a Vienna, la concretizzazione del colore del fotone di Pechino avviene solo quando i segnali con l’informazione arrivano a Vienna.
Rispetto a Vienna, cosa succede nel momento della misura a Pechino? Bisogna ricordare che gli apparecchi che compiono le misure, gli scienziati che le leggono, i quaderni su cui prendono appunti, i messaggi su cui scrivono i risultati della misura, sono anch’essi tutti oggetti quantistici. Fino a che non comunicano con Vienna, il loro stato rispetto a Vienna non è determinato: rispetto a Vienna sono tutti come il gatto in sovrapposizione di sveglio e addormentato. Sono in una sovrapposizione quantistica di una configurazione in cui hanno misurato blu e di una in cui hanno misura- to rosso.
Rispetto a Pechino è il contrario: i laboratori di Vienna e il messaggio che arriva da Vienna sono in sovrapposizione quantistica, fino al momento in cui il messaggio con il risultato della misura arriva a Pechino.
Per entrambi, le correlazioni non diventano reali che quando ci sono segnali scambiati. Cosi possiamo comprendere le correlazioni senza trasmissione magica di segnali, né predeterminazione del risultato. È la soluzione del puzzle, ma il suo prezzo è alto: non esiste un resoconto univoco di fatti, esiste un resoconto di fatti relativi a Pechino, e uno di fatti relativi Vienna, e i due non combaciano. Fatti relativi a un osservatore non sono fatti rispetto all’altro. La relatività della realtà risplende qui completamente.
Le proprietà di un oggetto sono tali solo rispetto a un altro oggetto. Quindi le proprietà di due oggetti sono tali solo rispetto a un terzo. Dire che due oggetti sono correlati significa enunciare qualcosa che riguarda un terzo oggetto: la correlazione si manifesta quando i due oggetti correlati interagiscono entrambi con questo terzo oggetto. L’apparente incongruenza sollevata da quella che sembrava la comunicazione a distanza fra due oggetti entangled è dovuta al dimenticare questo fatto: l’esistenza di un terzo oggetto che interagisca con entrambi i sistemi è necessaria per rivelare e dare realtà alle correlazioni. L’apparente incongruenza viene dal dimenticare che tutto ciò che si manifesta si manifesta a qualcosa. Una correlazione fra due oggetti è una proprietà dei due oggetti: come tutte le proprietà, esiste solo in relazione a un ulteriore, terzo, oggetto.
L’entanglement non è una danza a due: è una danza a tre.
La danza a tre che tesse le relazioni del mondo Immaginiamo un’osservazione di una proprietà di un oggetto. Zeilinger rileva un fotone e lo vede rosso. Un termometro rileva la temperatura di una torta. Una misura è un’interazione fra un oggetto (il fotone, la torta) e un altro (Zeilinger, il termometro). Alla fine dell’interazione, un oggetto « ha raccolto informazione su un altro oggetto ». Il termometro ha raccolto informazione sulla temperatura della torta che sta cuocendo.
Cosa significa qui che il termometro « ha informazione » sulla temperatura della torta? Niente di complicato: significa semplicemente che vi è una correlazione fra termometro e torta. Dopo la misura, cioè, se la torta è fredda il termometro indica freddo (la colonnina di mercurio è bassa): se invece la torta è calda il termometro indica caldo (la colonnina di mercurio è alta). Temperatura e termometro sono diventati come i due fotoni: correlati.
Questo chiarisce cosa succede in una qualunque osservazione. Attenzione però, se la torta era in una sovrapposizione quantistica di temperature diverse, allora:
– rispetto al termometro, la torta ha manifestato una sua proprietà (la temperatura) nel corso del l’interazione;
– rispetto a un terzo sistema fisico qualunque, che non partecipa a questa interazione, nessuna proprietà si è manifestata: ma torta e termometro sono ora in uno stato entangled.
Questo è quanto succede al gatto di Schrôdinger. Rispetto al gatto, il sonnifero viene emesso oppure no. Rispetto a me che non ho ancora aperto la scatola, la boccetta del sonnifero e il gatto sono in uno stato entangled: una sovrapposizione quantistica di sonnifero-liberato / gatto addormentato, sonnifero-non-liberato / gatto-sveglio.
L‘entanglement non è quindi un raro fenomeno che si realizza in situazioni particolari: è quanto succede regolarmente in un’interazione, se questa è considerata rispetto a sistemi fisici estranei essa.
Da una prospettiva esterna, qualunque manifestarsi di un oggetto a un altro, cioè qualunque rivelarsi di una proprietà, è l’apparire di una correlazione – in generale è il realizzarsi di un entanglement – fra l’oggetto che si manifesta in una relazione e l’oggetto in relazione. L’entanglement, insomma, non è altro che la prospettiva esterna sulla relazione stessa che tesse la realtà: il manifestarsi di un oggetto a un altro, nel corso di una interazione in cui le proprietà degli oggetti diventano attuali.
Guardi una farfalla e ne vedi il colore delle ali. Quello che è accaduto rispetto a me è lo stabilirsi di una correlazione fra te e la farfalla: tu e la farfalla siete ora in uno stato entangled. Anche se la farfalla si allontana da te, resta il fatto che se io guarderò il colore delle sue ali e poi ti chiederò di che colore le hai viste tu, troverò che le risposte combaciano, anche se non è impossibile che ci siano sottili fenomeni di interferenza con la configurazione dove la farfalla era di un altro colore…
Tutta l’informazione che si può avere sullo stato del mondo, considerata dall’esterno, è in queste correlazioni. E siccome tutte le proprietà sono solo proprietà relative, tutte le cose del mondo non esistono che in questa rete di entanglement.
Ma c’è del metodo in questa follia. Se so che tu hai guardato le ali della farfalla e mi dici che le hai viste azzurre, so anche che se le guarderò le vedrò azzurre anch’io: questo prevede la teoria, nonostante il fatto che le proprietà siano relative. La frantumazione dei punti di vista, la molteplicità di prospettive aperte dal fatto che le proprietà sono solo relative, vengono ricucite da questa coerenza, che è intrinseca alla grammatica della teoria, ed è la base dell’intersoggettività che fonda l’oggettività della nostra comune visione del mondo.
Per tutti noi che ci parliamo, le ali della farfalla hanno sempre lo stesso colore.
[116] Questa struttura ci dice in estrema sintesi che mondo non è continuo ma granulare, che c’è un limite inferiore finito alla sua determinazione. Non esiste nulla di infinito andando verso il piccolo. Ci dice che il futuro non è determinato dal presente. Ci dice che le cose fisiche hanno solo proprietà relative ad altre cose fisiche, e che queste proprietà ci sono solo quando le cose interagiscono. Prospettive diverse non si possono giustapporre senza apparire contraddittorie.

[133] La proposta radicale di Mach è di non pensare ai fenomeni come manifestazioni di oggetti, ma pensare agli oggetti come nodi di fenomeni.
Nello spazio aperto dalla lettura della scienza che fa Mach, che non dà per scontata la realtà di qualcosa se non nella misura in cui ci permette di organizzare i fenomeni, si infila Heisenberg, per togliere all’elettrone la sua traiettoria e reinterpretarlo solo nei termini delle sue manifestazioni.
In questo stesso spazio si apre la possibilità dell’interpretazione relazionale della meccanica quantistica, in cui gli elementi utili per descrivere il mondo sono manifestazioni di sistemi fisici gli uni agli altri, non proprietà assolute di ciascun sistema.
[138] Lo spirito « antimetafisico » che Mach ha promosso è un atteggiamento di apertura: non cerchiamo di insegnare al mondo come debba essere. Stiamo piuttosto ad ascoltare il mondo, per farci insegnare da lui come meglio pensarlo. Quando Einstein obietta alla meccanica quantistica che « Dio non gioca a dadi », Bohr gli risponde «Smettila di dire a Dio cosa deve fare ». Fuori di metafora: la Natura è più ricca dei nostri pregiudizi metafisici. Ha più fantasia di noi.
[142] «Mentre prima pensavamo che le proprietà di ogni oggetto fossero determinate anche se trascuriamo le interazioni in corso fra questo oggetto e gli altri, la fisica quantistica ci mostra che l’interazione è parte inseparabile di fenomeni. La descrizione non ambigua di qualunque fenomeno richiede di includere tutti gli oggetti coinvolti nell’interazione in cui il fenomeno si manifesta».
La mente non c’entra niente. « Osservatori» speciali non giocano alcun vero ruolo per la teoria. Il punto centrale è più semplice: non possiamo separare le proprietà degli oggetti dagli oggetti interagendo con i quali queste proprietà si manifestano.
Tutte le proprietà (variabili) di un oggetto, in ultima analisi, sono tali solo rispetto ad altri oggetti.
Un oggetto isolato, preso in sé stesso, indipendente da ogni interazione, non ha uno stato particolare. Al massimo possiamo attribuirgli una specie di disposizione probabilistica a manifestarsi in un modo o nell’altro. Ma anche questa non è che un’anticipazione di fenomeni futuri e un riflesso di fenomeni passati, ed è comunque solo e sempre relativa a un altro oggetto.
La conclusione è radicale. Fa saltare l’idea che il mondo debba essere costituito da una sostanza che ha attributi e ci forza a pensare tutto in termini di relazioni.
[177] Il ripensamento del mondo a cui ci forzano i quanti cambia i termini della questione. Se il mondo è relazione, se capiamo la realtà fisica in termini di fenomeni che si manifestano a sistemi fisici, allora non esiste descrizione del mondo dall’esterno. Le descrizioni del mondo possibili sono, in ultima analisi, tutte dal suo interno. Sono tutte, in ultima analisi, « in prima persona ». La nostra prospettiva sul mondo, il nostro punto di vista di esseri situati dentro il mondo («situated self» come argomenta Jenann Ismael), non è speciale: si appoggia sula stessa logica che ci suggerisce la fisica.
Se immaginiamo la totalità delle cose, stiamo immaginando di essere fuori dall’universo e guardare
« da là ». Ma non esiste un «fuori » dalla totalità delle cose. Il punto di vista dall’esterno è un punto di vista che non c’è. Ogni descrizione del mondo è dal suo interno. Il mondo visto dal di fuori non esiste: esistono solo prospettive interne al mondo, parziali, che si riflettono a vicenda. Il mondo è questo reciproco riflettersi di prospettive.
La fisica dei quanti ci mostra che questo avviene già per le cose inanimate. L’insieme delle proprietà relative a uno stesso oggetto forma una prospettiva. Se facciamo astrazione da ogni prospettiva, non ricostruiamo la totalità dei fatti: ci ritroviamo in un mondo senza fatti, perché i fatti sono solo fatti relativi. Questa è proprio la difficoltà dell’interpretazione a Molti Mondi della meccanica quantistica: descrive solo cosa un osservatore esterno al mondo dovrebbe aspettarsi se interagisse con il mondo, ma non ci sono osservatori esterni al mondo, quindi non descrive i fatti del mondo.
Thomas Nagel, in un articolo famoso, propone la domanda « Cosa si prova a essere un pipistrello? » per sostenere che domande come questa sono ben poste, ma sfuggono alla scienza naturale. L’errore è assumere che la fisica sia la descrizione delle cose in terza persona. E’ il contrario: la prospettiva relazionale mostra, che la fisica è sempre descrizione della realtà in prima persona, da una prospettiva. Qualunque descrizione è implicitamente dall’interno del mondo, da un punto di vista associato a un sistema fisico.
[180] A me sembra quindi che, quando ci interroghiamo sulla relazione fra l’«io» e la « materia», stiamo usando due concetti entrambi confusi, ed è questa l’origine della confusione attorno alle domande sulla natura della coscienza.
Chi è l’ « io » che prova la sensazione di sentire, se non l’insieme integrato dei nostri processi mentali? Certo, abbiamo un’intuizione di unità quando pensiamo a noi stessi, ma questa è giustificata semplicemente dall’integrazione del nostro corpo e dal modo di funzionare dei processi mentali, dove la parte che chiamiamo cosciente fa una cosa alla volta. Il primo termine del problema, l’«io», è, credo, il residuo di una metafisica errata: il risultato dell’errore frequente di scambiare un processo per un’entità.
Ma è ancor più il secondo termine della questione, la «semplice materia», a essere il residuo di una metafisica errata, la metafisica basata su una concezione troppo ingenua di materia: la materia come sostanza universale definita solo da massa e moto. E una metafisica errata perché è contraddetta dalla fisica quantistica.
Se pensiamo in termini di processi, eventi, in termini di proprietà relative, di un mondo di relazioni, lo iato tra fenomeni fisici e fenomeni mentali è molto meno drammatico. Possiamo vederli entrambi come fenomeni naturali generati da complesse strutture di interazioni.

[189] Uno dei più affascinanti progressi recenti delle neuroscienze riguarda il funzionamento del nostro sistema visivo: come facciamo a vedere? Come facciamo a sapere da uno sguardo che li davanti a noi ci sta un libro o un gatto?
Sembrerebbe naturale pensare che recettori rilevano la luce che arriva sulla retina dei nostri occhi e la trasformano in segnali che corrono verso l’interno del nostro cervello, dove gruppi di neuroni elaborano l’informazione in modo via via più complesso, fino a interpretarla, e identificare gli oggetti. Neuroni riconoscono linee che separano colori, altri neuroni riconoscono forme disegnate da queste linee, altri confrontano queste forme con dati della nostra memoria… altri ancora arrivano a riconoscere qualcosa: è un gatto.
E invece no. Il cervello non funziona cosi. Funziona al contrario. La maggior parte dei segnali non viaggia dagli occhi verso il cervello: viaggia in senso opposto, dal cervello verso gli occhi.
Quello che succede è che il cervello si aspetta di vedere qualcosa, sulla base di quanto è successo prima e quanto sa. Elabora un’immagine di quanto prevede gli occhi debbano vedere. Questa informazione è inviata dal cervello verso gli occhi, attraverso stadi intermedi. Se viene rilevata una discrepanza fra quanto il cervello si aspetta e la luce che arriva agli occhi, solo in questo caso i circuiti neurali mandano segnali verso il cervello. Dagli occhi verso il cervello, cioè, non viaggia l’immagine dell’ambiente osservato, ma solo la notizia di eventuali discrepanze rispetto a quanto il cervello si attende.
La scoperta che la visione funziona in questo modo è stata una sorpresa. Ma a pensarci poi è chiaro che questo è un modo efficiente di raccogliere informazioni dall’ambiente. Che senso avrebbe inviare verso il cervello segnali che non fanno che confermare quanto il cervello già sa? Gli informatici usano tecniche simili per comprimere file di immagini. Invece di mettere in memoria il colore di tutti i pixel, si mette in memoria solo l’informazione di dove il colore cambia: meno informazione, sufficiente a ricostruire l’immagine.
Le implicazioni concettuali sulla relazione fra quanto vediamo e il mondo, però, sono notevoli. Quando ci guardiamo intorno non stiamo davvero « osservando »: stiamo piuttosto sognando un’immagine del mondo sulla base di quanto sapevamo (compresi pregiudizi sbagliati) e inconsciamente scrutiamo per rilevare eventuali discrepanze e, quando necessario, provare a correggere.
Quello che vediamo, in altre parole, non è una riproduzione dell’esterno. È quanto ci aspettiamo, corretto da quanto riusciamo a cogliere. Gli input rilevanti non sono quelli che confermano ciò che già sapevamo. Sono quelli che contraddicono le nostre aspettative.
Talvolta è un dettaglio: il gatto ha mosso un orecchio. Talvolta qualcosa ci allerta a saltare a un ‘altra ipotesi: Ahi Non era un gatto, era una tigre!
Talvolta è una scena interamente nuova, a cui cerchiamo comunque di dare un senso immaginandocene una versione che abbia senso per noi.
E’ in termini di quanto già sappiamo che cerchiamo di dare senso a quanto arriva alle nostre pupille.
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[195] La migliore descrizione della realtà che abbiamo trovato è in termini di eventi che tessono una rete di interazioni. Gli « enti» non sono che effimeri nodi di questa rete. Le loro proprietà non sono determinate che nel momento di queste interazioni e lo sono solo in relazione ad altro: ogni cosa è solo ciò che si rispecchia in altre.
Ogni visione è parziale. Non esiste un modo di vedere la realtà che non dipenda da una prospettiva. Non c’è un punto di vista assoluto, universale. I punti di vista tuttavia comunicano, i saperi sono in dialogo fra loro e con la realtà, nel dialogo si modificano, si arricchiscono, convergono, la nostra comprensione della realtà si approfondisce.
Di questo processo non è attore un soggetto distinto dalla realtà fenomenica, né un punto di vista trascendente: ne è attore un pezzo stesso di quella realtà, a cui la selezione ha insegnato a occuparsi di correlazioni utili, informazioni che hanno significato. Il nostro discorso sulla realtà è esso stesso parte della realtà.
Di relazioni è fatto il nostro io, le nostre società, la nostra vita culturale, spirituale e politica.
Per questo, tutto quanto siamo stati capaci di fare nei secoli lo abbiamo fatto in una rete di scambi.
Per questo la politica di collaborazione è più sensata ed efficace della politica di competizione…
Questa parte del testo me lo ha indicato Maddalena Cantoni
Le immagini del paese vengono da wikimedia
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