Nagarjuna. Logica, dialettica e soteriologia
DAL PENSIERO ALLA VACUITÀ. LA CRITICA NĀGĀRJUNIANA E IL TRASCENDENTALE
Coscienza e realtà.Il problema ontologico e l’insegnamento di Vasubandhu
Crisi. L’altro nome del dolore
Più specificamente, dal punto di vista delle ricadute etiche dell’insegnamento, la via di mezzo buddhista coniuga la conoscenza e la compassione come attitudini strutturalmente interconnesse: la comprensione della natura interdipendente di tutti gli esseri implica necessariamente un’etica del com-patire, del sentire, cioè, la sofferenza dell’altro come la medesima sofferenza dell’io che, solo attraverso l’altro si determina all’interno della rete esistenziale e che indipendentemente da questa rete non è.
La cura dell’altro, in questo modo, non è altra cosa dalla cura di se stessi, e la cura di se stessi non è altra cosa dalla cura dell’altro: dall’estinzione della la radice egoico-appropriativa discende una pratica di mutua attenzione sollecita e partecipe.
“’Io mi prenderò cura di me stesso’, o monaci, è con questo spirito che devono essere praticati i fondamenti della presenza mentale (satipaṭṭhāna). ‘Io mi prenderò cura degli altri’: è con questo spirito che devono essere praticati i fondamenti della presenza mentale. E in che modo, o monaci, colui che si prende cura di se stesso si prende cura degli altri? Con la pratica (āsevanā), con la meditazione (bhāvanā), con una pratica ripetuta (bahulīkamma). È così che chi si prende cura di se stesso si prende cura degli altri. E in che modo, o monaci, colui che si prende cura degli altri si prende cura di se stesso? Con la pazienza (khanti), con il non nuocere (avihiṃsā), con l’amore (mettā) e con la solidarietà (anudayatā). […] O monaci, colui che si prende cura di se stesso si prende cura degli altri e colui che si prende cura degli altri si prende cura di se stesso”
Il venir meno del principio appropriativo, la sua estinzione, sul versante etico significa, allora, un pensiero e un’azione costitutivamente responsabili del tutto in quanto maglie interconnesse del tessuto che lo costituisce.
Ancora, qui, si rende evidente nella virtù della compassione (‘dimora divina’) e nella massima del ‘non nuocere’ quella consequenzialità naturale e necessaria che lega la conoscenza all’azione, la teoria alla prassi, la ‘retta visione’ all’etica.
L’etica della via di mezzo rappresenta la diretta emersione dell’agire da un conoscere. Non la sintesi tra due posizioni estreme, bensì la sottrazione di quell’elemento che rende estrema ogni posizione: l’attaccamento, l’appropriazione. Da tale prospettiva la ‘via di mezzo’ è tutt’altro che una via di compromesso e di moderata prudenza. È una via che può evitare gli estremi proprio nell’essere radicale, nell’essere cioè il luogo del toglimento della radice appropriativa.
Nell’insegnamento del grande veicolo è la centralità che in esso assume sul piano filosofico la nozione di vacuità, sunyata in sanscrito, vacuità che possiamo comprendere come una sorta di radicalizzazione dell’insegnamento del non sé. E’ l’insegnamento centrale del buddhadarma dove nulla è consistente ontologicamente, autonomo indipendente, nulla è sostanziale, nulla è in sé ea un sé che il nulla ovviamente fa innanzitutto riferimento alla persona al io questo il punto di inizio della decostruzione buddista ebbene questo insegnamento l’insegnamento dell’anas man o a nathan pali si radicalizza attraverso la nozione di vacuità che cosa significa vacuità vuoto vacuità vacuità vuol dire vacuità o assenza di essere in sé dichiarare vuote le cose dichiarare vuoti gli esseri tutti gli esseri non significa altro che riaffermare a tutti i livelli non solo relativamente al sé ma a tutti i livelli quindi per tutti quegli elementi materiali o immateriali che possiamo prendere in considerazione la intrinseca natura in sostanziale priva di sostanza vuota di identità sostanziale poiché tutto è coprodotto condizionatamente cioè risultato di un insieme di concause intrecci stratificazioni relazioni quindi l’essere coprodotto condizionato dipendente delle cose ci costringe possiamo dire così necessariamente a dire che le cose sono prive di auto consistenza ontologica di una sostanza, di un essere.
[52:00] L’insegnamento centrale del sutra sostiene che per tutti gli esseri è possibile ottenere la suprema perfetta body. La body è né più né meno che la salvezza nel senso dell’illuminazione/risveglio. E’ la visione profonda di ciò che è. Vale a dire il venir meno della nescenza, dell’ignoranza, dell’offuscamento e l’emersione della visione trasparente delle cose tali quali sono. Come sono le cose tali quali sono? Sono impermanenti, insostanziali, coprodotte condizionatamente, interdipendenti. Queste sono le qualità della realtà, degli esseri che sono appunto non esseri come entità separate autoconsistenti, stabili, permanenti, ma che sono eventi, relazioni, intrecci, condizionamenti continui. Questa è la visione che si realizza e la body è questo risveglio che significa non soltanto la realizzazione di una visione ma contemporaneamente la trasformazione di un’esperienza, di una condizione di vita, cioè l’estinzione del dolore. Vedere in maniera trasparente, lucida, ciò che prima non era visto, libera, libera che non significa nient’altro che estingue la sofferenza. Badate bene che il termine nirvana non significa né più né meno che lo spegnimento, l’estinzione, la cessazione del soffrire che segue alla visione profonda delle cose tali quali sono che è una visione non intellettuale teorica, che è un incorporamento della comprensione, un’integrale trasfigurazione dell’esperienza, dello stare al mondo.
[1:00:00] visto che era attaccato al suo sé come una cozza se io gli avessi detto che il sé non esiste, persuaso dell’esistenza del sé come realtà, avrebbe pensato: avevo un sé, me l’hanno tolto, non ce l’ho più, sono in lutto per la perdita di una realtà!!! Capite il punto: fino a che resiste l’idea che il sé sia una realtà e si resta aderenti all’idea di sé come una realtà, l’insegnamento del non sé cos’è se non un insegnamento nichilista che dicendo che il sé non esiste ti farà sentire privato di qualcosa che ti riempiva. Solo chi comprende la natura illusoria, ingannevole, del sé, solo chi comprende che il sé è un miraggio può capire l’insegnamento del non sé, perché l’insegnamento del non sé non toglie una realtà ma toglie il miraggio.
[1:08:42] Fondamentale è la conoscenza che è una conoscenza di tipo non intellettuale/discorsiva ma è una conoscenza di tipo intuitivo. E’ l’insight, è il vedere le cose tali quali sono, avendo congedato la modalità cognitiva che distingue soggetto e oggetto. E’ una sorta di conoscere mistico potremmo dire per intenderci. E’ la conoscenza ultima, quella che realizza, che contestualmente al sé estingue la sofferenza.
[1:16:00] La compassione é la virtù per eccellenza che deve possedere il bodhisattva in quanto ha compreso la vacuità. Cioè la comprensione della vacuità, quel conoscere intuitivo della vacuità, la vacuità di tutte le cose, la loro interdipendenza, necessariamente, fisiologicamente potremmo dire, non può che portare il bodhisattva ad essere compassionevole. Avendo compreso che non c’è un sé, né un io né un tu, di necessità non può che sentire come proprio l’altrui dolore. Quindi la compassione diventa un sentire naturale, necessario, scaturente da una comprensione.
[1:32:56] L’idealismo buddista, questa è la mia lettura derivata dai miei studi e dalle mie ricerche, è un po’ un’invenzione degli interpreti occidentali. Le cose sono molto più complesse di così!!! Faccio riferimento a Vasubandhu, di cui mi sono occupata, che è stato considerato uno degli idealisti del buddismo, in verità non nega il mondo esterno, semplicemente Vasubandhu si concentra sulla modalità di rappresentazione coscienziale del mondo esterno. L’interesse non è ontologico. Non c’è un interesse su che cosa il mondo sia esternamente, l’interesse è epistemologico cioè su come conosciamo il mondo. E perché epistemologico? Perché il come conosciamo determina il nostro rapporto con il mondo e la nostra possibilità di salvarci in questo mondo cioè di smettere di soffrire. L’obiettivo è sempre quello, nonostante i tentativi di intrappolare il tutto in una rappresentazione filosofica, teorica o speculativa.
[1:35:00] Il buddha dice: io il mio insegnamento lo propongo come doppio c’è una verità relativa e una verità ultima. Allora è chiaro che all’interno di questa dimensione relativa, convenzionale che è proprio questa qui in cui siamo noi adesso della comunicazione, della comprensione e che è la via dell’insegnamento, del discorso salvifico, degli abili mezzi ecco, entro questo piano di verità relativa dobbiamo certamente far riferimento a dei criteri come il bene e il male. Si utilizzano i termini in sanscrito dharma e adharma. Dharma indica il bene ed è ciò che è compiuto secondo la legge, seguendo l’insegnamento. Adharma è il male, ciò che determina la nostra condotta negativamente e che quindi porterà delle conseguenze negative. Il karmann è solo questo. Togliamoci dalla testa strane idee di rinascita. Si poi è vero che in alcuni contesti religiosi va considerata la dottrina delle rinascite in maniera più puntuale ma in generale il karman, la legge del karma, ci dice semplicemente che la nostra azione intenzionale, ogni nostro atto accompagnato da intenzione, da volontà, non è neutro, non è innocuo, incide, ha delle conseguenze, porta dei risultati. Non importa che si colgano ora o domani o tra un anno; potrebbero anche essere conseguenze che ricadono sui nostri nipoti. Fondamentalmente è l’idea che siamo determinati da azioni innumerevoli, in questa rete di dipendenze multi stratificate che determineremo. Siamo dentro ad una griglia di interdipendenze necessitanti al condizionamento reciproco. Sapere cosa sia bene e cosa sia male, agire seguendo delle indicazioni, dei consigli dei precetti, agire cercando di non nuocere, cercando di non danneggiare, di non offendere certamente è importante per vivere correttamente all’interno della verità relativa. Ma i piani di verità sono due. Oltre alla verità convenzionale c’è la verità ultima. La verità ultima è su un piano che necessita di un salto rispetto alla verità relativa. La verità ultima è quella verità che realizzandosi rende vana la verità relativa, non la fa più esistere. Sono dei livelli imparagonabili e quel tipo di condizione che potremmo dire realizzano i mistici, i santi, coloro che colgono, vedono la realtà tale quale è, quel tipo di esperienza, è al di fuori di ogni possibilità di categorizzazione, di giudizio valoriale, del bene e del male, al di fuori della dinamica io tu, al di fuori della dinamica relativo assoluto. Dire relativo e assoluto vuol dire operare una distinzione sul piano del relativo ma chi ha realizzato quell’ultima conoscenza che libera, che salva e che estingue la discorsività e il pensiero rappresentativo ha congedato da sé anche la necessità di un insegnamento buddista. Serve un percorso buddista a chi deve realizzare l’emancipazione dalla sofferenza chi ha realizzato il percorso non ha più bisogno di nessun buddismo, non è dentro a nessuno buddismo ed è davvero al di là o al di qua del bene e del male. Almeno questo è quello che si può dire sul piano filosofico, concettuale.
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