Innanzi tutto, permettetemi di rendere omaggio a Buddha Shakyamuni che ha insegnato la verità dell’origine dipendente (pratītyasamutpāda). Tra tutti i grandi maestri spirituali, ciò che rende il Buddha davvero unico dal punto di vista buddhista è il suo insegnamento sull’origine dipendente.
L’origine dipendente racchiude l’essenza della sua intuizione e del suo insegnamento e, in due parole, svela una potente comprensione della natura della realtà. La parola “dipendente” indica una verità fondamentale: qualsiasi cosa esiste in dipendenza da qualcos’altro, nulla è indipendente, ed è questa interdipendenza a costituire l’effettiva realtà fondamentale di ogni cosa. La parola “origine” indica in che modo le cose vengono in essere, ovvero attraverso questa interdipendenza. Ecco perché la parola “origine” è altrettanto importante: anche se non c’è nulla che sia indipendente, è attraverso le relazioni di dipendenza che le cose possono venire in essere.
La comprensione di questa verità – l’origine dipendente – può aiutarci a dissipare la nostra ignoranza e la nostra assenza di comprensione della natura della realtà. In che modo? Se esaminiamo la nostra esperienza quotidiana di essere nel mondo, ognuno di noi riconoscerà che al centro della nostra esistenza c’è un forte senso di un sé, di un “io”. Se manca la comprensione dell’origine dipendente, la nostra tendenza a considerare questo sé come reale e ad aggrapparci a esso sarà molto forte e quando ciò accade creiamo la base per la divisione tra “io” e “voi”, tra “sé” e “gli altri”. Su questa base, poi, sorgeranno le nostre emozioni e reazioni: l’attaccamento per coloro che consideriamo vicini a noi e che riteniamo importanti e l’avversione per le persone che vediamo come diverse o forse minacciose. Attaccamento e avversione sorgono dalla nostra percezione di un sé, dal nostro aggrapparci al sé, all’io.
Insieme all’origine dipendente, l’altro insegnamento fondamentale del Buddha è quello sulla compassione. Quanto la compassione fosse rilevante nell’insegnamento del Buddha è illustrato nel commentario di Candrakīrti “Ingresso nella via di mezzo”. A differenza di altri testi e di altri maestri, come oggetto del suo omaggio all’inizio del testo Candrakīrti scelse la compassione, paragonata a un seme, che è importante all’inizio per la crescita spirituale, all’umidità che nel mezzo permette ai semi di crescere e anche alla fruizione e al risultato. La compassione è quindi fondamentale in tutte le fasi dello sviluppo spirituale. Quando si combinano la compassione e la saggezza dell’origine dipendente, si realizza l’essenza dell’insegnamento del Buddha. Quindi, come buddhisti, il nostro compito è coltivare queste due qualità: la compassione e la saggezza.
Per quanto riguarda la saggezza, l’essenza è l’insegnamento dell’origine dipendente o, in altre parole, l’insegnamento dell’assenza di un sé. Ma in che modo possiamo coltivare questa saggezza? Il maestro buddhista del II secolo Aryadeva dice quanto segue: “La radice dell’esistenza ciclica è la coscienza e gli oggetti sono ciò che la coscienza sperimenta. Quando si ottiene l’intuizione dell’assenza del sé, o della non realtà degli oggetti, è allora che si distrugge il seme che dà origine all’esistenza”. Quindi, in altre parole, molti dei problemi che affrontiamo e che portano all’esistenza del samsara sono radicati nel modo in cui percepiamo la realtà. Sebbene la realtà sia priva di esistenza indipendente, intrinseca dalla propria parte, tendiamo a credere in ciò che ci appare e a seguire queste apparenze. Ma una volta che attraverso la coltivazione della saggezza iniziamo a vedere l’assenza di tale esistenza indipendente e intrinseca, allora la nostra tendenza ad afferrarci, la nostra tendenza ad avere un attaccamento basato sull’aggrapparci, si allenterà e in questo modo sorgerà la saggezza.
Una delle cause dei nostri problemi è la tendenza a credere nelle apparenze che sperimentiamo, la tendenza a proiettare sulla realtà cose che in realtà non sono reali, a proiettare un’esistenza indipendente. Attraverso la coltivazione della saggezza, il cui cuore è l’insegnamento sulla vacuità (shunyata), si inizierà anche a riconoscere che le nostre percezioni non rispecchiano la realtà e che pertanto non dobbiamo credervi ingenuamente, non dobbiamo correre dietro alle nostre proiezioni mentali. Quando saremo in grado di farlo, allora questo ci libererà dal forte desiderio e dall’attaccamento. E il desiderio non verrà rimosso semplicemente perché lo vogliamo, ma grazie all’intuizione della natura della realtà: a quel punto la mente diventa pura e quella purezza della mente è lo stato del nirvana. Il nirvana è uno stato mentale.
Pertanto, ciò a cui noi praticanti buddhisti dobbiamo prestare molta attenzione sono questi due processi: il processo di decostruzione della nostra tendenza ad afferrare, che è la pratica della saggezza – la vacuità del sé e dei fenomeni – in modo da liberarci dall’attaccamento; e il processo di attiva coltivazione di qualità come la compassione, come quella che ho citato da Candrakīrti. Attraverso questa combinazione di saggezza, coltivata attraverso la rimozione dell’ignoranza, e la coltivazione attiva della compassione, esiste la reale possibilità di raggiungere l’Illuminazione, come indicato dal Buddha.
Pensare all’esistenza come caratterizzata dalla sofferenza, senza una via d’uscita dalla sofferenza, senza una soluzione alla sofferenza sarebbe demoralizzante, ma il messaggio del Buddha è in definitiva positivo: c’è una fine alla sofferenza, c’è la possibilità di liberarsi dalla sofferenza e ciò avviene attraverso l’intuizione della natura della realtà e la coltivazione di qualità come la compassione.
Sebbene non possa affermare di avere un’esperienza profonda, posso però condividere con voi che, come risultato di una riflessione intensa e di una pratica approfondita di decenni, si sente davvero che c’è un senso di libertà che nasce dentro di noi, che c’è una reale possibilità di trasformazione.
Lo stesso Candrakīrti afferma anche che, man mano che si affinano e si sviluppano le proprie qualità della mente, l’illuminazione della propria mente aprirà la natura della realtà e attraverso i mezzi abili della verità convenzionale – che è l’aspetto del metodo del percorso – si potrà viaggiare verso la riva dell’Illuminazione. Quindi una parte importante di questa sfida è sviluppare effettivamente shamata, la capacità di mantenere la mente completamente concentrata e ferma per un lungo periodo di tempo. E’ una pratica in cui io stesso mi sto ancora molto impegnando, ma sento di essere in grado di fare dei progressi nella direzione suggerita da Candrakīrti.
In un’altra strofa Candrakīrti afferma anche che quando si è in grado di acquisire una profonda comprensione della natura della realtà attraverso la saggezza della vacuità, la compassione per gli esseri che soffrono nel mondo sorgerà spontaneamente. La compassione per gli esseri sofferenti, pertanto, è un “sottoprodotto” della coltivazione della saggezza e quando si è in grado di coltivare la saggezza della vacuità e la compassione, allora si è equipaggiati con le due ali di un uccello potente e con queste due ali – compassione e saggezza – si può procedere, si sarà in grado di attraversare lo spazio per raggiungere l’illuminazione. Quindi ritengo davvero che questo tipo di insegnamento e la metafora che Candrakīrti ha adottato ci consentono di provare ottimismo e speranza. [Prosegue]
Discorso di Sua Santità il Dalai Lama al primo Global Buddhist Summit grazie a Nalanda Edizioni
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