[59] “Noi” non siamo osservatori esterni del mondo. Né siamo semplicemente posizionati in particolari collocazioni nel mondo; piuttosto, siamo parte del mondo nella sua continua intra-attività. Questo è quello che cercava di dire Bohr quando ripeteva che la nostra epistemologia deve tenere conto del fatto che noi siamo parte della natura che tentiamo di comprendere.
La particolare configurazione assunta da un apparato non rappresenta la realizzazione di una “nostra” scelta arbitraria; né è il risultato di strutture di potere causalmente deterministiche. Gli “umani” non sono dei semplici assemblatori di apparati fatti per soddisfare particolari progetti di sapere ma sono essi stessi speci. fiche parti locali della continua riconfigurazione del mondo. Se le manipolazioni di laboratorio, le osservazioni, i concetti o altre pratiche umane hanno un ruolo, essi ce l’hanno in quanto parte della configurazione materiale del mondo nel suo divenire intra-attivo. Gli “umani” fanno parte dello spazio mondo/corpo nel suo dinamico strutturarsi.
C’è un motivo importante per cui la conoscenza non può essere rivendicata come pratica esclusivamente umana, non semplicemente perché nelle nostre pratiche usiamo elementi non umani, ma perché la conoscenza riguarda una parte del mondo che si rende intellegibile a un’altra parte. Le pratiche del sapere e dell’esistenza non sono isolabili ma sono reciprocamente implicate. Non raggiungiamo la conoscenza stando fuori dal mondo; conosciamo perché “noi” siamo del mondo. Siamo parte del mondo nel suo divenire differenziale. La separazione dell’epistemologia dall’ontolo-gia è il riverbero di una metafisica che presuppone una differenza intrinseca tra umano e non umano, soggetto e oggetto, mente e corpo, materia e discorso. L’onto-epistemologia – lo studio delle pratiche del sapere e dell’esistenza – è probabilmente un modo migliore per pensare a quali conoscenze sono necessarie per venire a capo di come le specifiche intra-azioni si materializzano/contano.
[68] Un esame più approfondito chiarisce la qualità spettrale di questo processo. Inizialmente l’elettrone si trova in uno stato energetico più alto che chiameremo E, e, successivamente, si trova in uno stato energetico più basso che chiameremo E. In quale momento verrà emesso il fotone? Secondo il modello fisico classico di Rutherford, l’elettrone atomico può avere una gamma di valori energetici continua, dal momento che cambia la sua orbita in maniera continua nel tempo: dato che l’elettrone si muove in maniera circolare intorno al nucleo esso perde energia in maniera continuativa via via che si muove a spirale verso l’interno emettendo una luce continua (il colore o la frequenza della luce cambia a seconda dei cambiamenti dell’energia dell’elettrone). Per contro, secondo il modello quantistico di Bohr un elettrone può occupare solo una gamma discreta di livelli energetici e la luce è emessa
Sotto forma di piccolo pacchetto, ossia tutta in una volta sotto for. ma di un fotone di uno specifico colore/frequenza corrispondente alla variazione di energia. Questo vuol dire che il salto dell’elet trone e la corrispondente emissione del fotone devono avvenire in un momento preciso nel tempo (affinché l’energia sia conservata in qualsiasi momento). Ma ecco l’ostacolo! A un attento esame si nota che la situazione è decisamente spettacolare. Quando l’elettrone si trova in un dato stato energetico, sia esso E, oppure E, non può emettere un fotone perché non è coinvolta una variazione di ener. gia, pertanto non c’è energia per produrre il fotone. Il fotone è il risultato del salto medesimo. Ma allora in quale momento nel corso di questo salto viene emesso il fotone? L’emissione del fotone non può avvenire mentre l’elettrone sta passando da E a E, perché non si trova mai in nessun posto intermedio. Inoltre, qualcosa non torna riguardo alla natura della causalità, dal momento che per emettere un fotone di un dato colore l’atomo che lascia E, sarebbe già dovuto arrivare al punto di arrivo (per esempio, E,) prima di partire, per garantire l’emissione di un fotone del corretto colore/frequenza (necessario per conservare l’energia). Davvero una causalità queer!
Come è ora evidente, la natura paradossale della causalità quantistica deriva dall’esistenza stessa di una dis/continuità quantistica nel separare/assemblare che è la natura di tutte le intra-azioni.
Ma facciamo una pausa per approfondire la dis/continuità quantistica. Questa discontinuità che queerizza i nostri presupposti sulla continuità non è né il suo opposto né il suo comple-mento. I ‘salti’ quantici non sono semplici dislocazioni nello spazio attraverso il tempo, non rappresentano un passaggio dall’ora-qui al poi-lì, non quando è la discontinuità stessa che contribuisce a costituire i qui e gli ora, e nemmeno in maniera definitiva. Il problema non sta tanto nel fatto che qualcosa è ora-qui e poi li senza essere stato in nessun posto intermedio ma è che l’ora-ora e il porli hanno perso ogni ancoraggio: non hanno luogo né in un posto né in un momento preciso, Dove e quando avvengono i salti quantici? Inoltre, se la natura della causalità è così problematica da non potersi dire che gli effetti conseguono le cause in sequenza dispiegandone l’esistenza nel tempo, se non esiste un prima o un dopo con cui ordinare causa ed effetto, dobbiamo concludere che il percorso della causalità è stato interrotto?
Questa strana causalità quantistica comporta il sovvertimento della discontinuità/continuità, un sovvertimento così destabilizzante, così vertiginoso che è difficile figurarsi come esso possa creare la stabilità dell’esistenza. O, per dirla più precisamente, se la natura indeterminata dell’esistenza è tale perché vacilla continuamente al limite tra stabilità e instabilità, possibilità e impossibilità, allora la relazione dinamica tra continuità e discontinuità è fondamentale per il divenire aperto del mondo che resiste sia alla mancanza di causalità quanto al determinismo.
Lungi dal voler ingigantire una questione così microscopica, il salto quantico, questa minuscola frattura che esiste nel non-spazio e nel-non tempo, opera una tale torsione nella natura stessa della relazione tra continuità e discontinuità che la natura stessa del cambiamento cambia con ogni intra-azione. Il cambiamento, con tutti i limiti delle generalizzazioni, è un dinamismo che opera a un livello dell’esistenza completamente diverso da quello della materia bruta, data come situata nello spazio e nel tempo (per esempio, l’esistenza non è semplicemente una varietà dell’essere che si evolve nello spazio e nel tempo); in effetti, ciò che viene a esistere ed è immediatamente riconfigurato implica un divenire di materializzazione spaziotemporale che è effetto di ripetute intra-azioni.
Karen Barad Meeting The Universe Halfway
Karen Barad Performativita della natura
LA MATERIA SENTE, CONVERSA, SOFFRE, DESIDERA, ANELA E RICORDA – INTERVISTA A KAREN BARAD [Prima Parte] [Seconda Parte]